Benvenuti

Migrazioni 2.0 nasce dall'incontro di cinque studentesse universitarie del corso in Educatore Sociale e Culturale dell'Università di Bologna, accomunate dall'interesse per gli attuali flussi migratori che interessano il nostro Paese.

In questo spazio ci proponiamo offrirvi il nostro sguardo su tematiche quali la tratta di esseri umani ai fini della prostituzione, i servizi territoriali italiani adibiti all'accoglienza dei richiedenti asilo, così come dati statistici di matrice più generale sul fenomeno migratorio odierno.

Sperando di stimolare il vostro interesse critico nell'ambito di queste tematiche, vi auguriamo una buona lettura, invitandovi a condividere il vostro pensiero e le vostre opinioni con noi e con i lettori di questo blog!

venerdì 27 ottobre 2017

CIE: prigioni mascherate da strutture di accoglienza

I Centri di identificazione ed espulsione (CIE) sono strutture istituite per trattenere gli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione che agiscono in relazione all'apparato legislativo sull'immigrazione.
Le prime strutture sono nate nel 1998 come Centri di permanenza temporanea gestite da aziende private, come enti assistenziali quali la Croce Rossa Italiana e la Confederazione Nazionale delle Misericordie D'Italia, scelte con una gara d'appalto e sorvegliate all'esterno dalle forze dell'ordine che possono entrare nelle zone dove vivono i detenuti solo su richiesta degli enti gestori e solo in caso di emergenza.
Le persone che soggiornano in questi centri sono detenuti a tutti gli effetti anche se vengono chiamati "ospiti" e nel corso degli anni le strutture hanno assunto sempre più l'aspetto di luoghi detentivi di massima sicurezza senza la presenza di regolamentazioni uniformi sul territorio.
I CIE operativi ad oggi si trovano a Roma, Caltanissetta, Bari, Torino, Brindisi e Crotone
Già dal 2003 compaiono le prime denunce riguardanti le condizioni fatiscenti e la loro inadeguatezza sia dal punto di vista strutturale che funzionale a garantire la dignità e i diritti fondamentali degli stranieri trattenuti, i quali vengono privati della libertà personale e sottoposti ad un regime di coercizione che impedisce loro di ricevere visite e di far valere il diritto alla difesa legale.
La natura di queste strutture è contraddittoria in quanto la sistemazione dovrebbe essere temporanea in attesa del rimpatrio nel paese d'origine ma le espulsioni riguardano solo una parte dei migranti poiché spesso sono impossibili da effettuare, per cui gli irregolari vengono detenuti molto più a lungo di quanto dovrebbero. La legislazione riguardo ai tempi di permanenza nei centri è stata modificata varie volte. Nel 2014 il periodo massimo di trattenimento degli stranieri all'interno dei CIE era di 90 giorni, nel 2015 è stato ampliato a 12 mesi per i richiedenti asilo che costituiscono un pericolo per l'ordine o la sicurezza pubblica o in caso di rischio di fuga.
Il 17 febbraio 2017 è cambiata di nuovo e il termine è stato portato a 30 giorni di soggiorno con la possibilità di essere prolungato per altri 15 previa convalida da parte di un giudice di pace.
Nella realtà i migranti vengono trattenuti per molto più tempo di quanto non dicano le leggi, in condizioni lesive per la dignità e privati di molti diritti fondamentali come,  ad esempio, l'assistenza medica. 

mercoledì 25 ottobre 2017

Progetto 'Oltre La Strada' - Bologna ed Emilia Romagna

Il Progetto Oltre la strada comprende "interventi e programmi di assistenza ed interazione sociale rivolti a persone vittime di sfruttamento e/o tratta (ex art. 18 d.lgs. 286/1998)". È coordinato dalla Regione Emilia-Romagna e coinvolge moltissime città, in primis Bologna. 
L'ente attuante è l'Istituzione per l'inclusione sociale e comunitaria che svolge un programma di: 
- osservazione,  attraverso la raccolta e l'analisi di dati;
- comunicazione, tramite implementazione, cura e sviluppo dei rapporti con i partner e la gestione della rete, il coordinamento, la supervisione, la partecipazione ai tavoli regionali e nazionali;
- supporto alla definizione delle politiche di governo, mediante l'organizzazione di informazione e sensibilizzazione, la rendicontazione e la valutazione dei progetti.

Gli enti gestori sono:
Questi, svolgono la presa in carico, la gestione dei percorsi e la raccolta dati.

Dal settembre del 2016 sono stati portati avanti altri due progetti sperimentali e innovativi concernenti lo sfruttamento e la tratta, in particolare modo per la tutela delle donne migranti di origine nigeriana che arrivano nei centri d'accoglienza e che sono le principali vittime di tratta e sfruttamento. Essi sono: 
1. Vittime di grave sfruttamento e tratta di esseri umani nell'ambito dell'accattonaggio: interventi di primo contatto finalizzati all'emersione;
2. Coordinamento dei diversi attori presenti sul territorio metropolitano di Bologna e formalizzazione di un protocollo operativo per la tutela delle vittime di sfruttamento e/o tratta di esseri umani presenti tra le persone richiedenti asilo.

Il progetto, in pratica, riguarda attività di primo contatto con le popolazioni a rischio sfruttamento rivolte alla tutela della salute all'emersione delle potenziali vittime di tratta e/o sfruttamento sessuale, lavorativo, accattonaggio, economie illegali e matrimoni forzati/combinati; particolare attenzione è rivolta alle persone richiedenti protezione internazionale o rifugiate.
Altre azioni portate avanti sono:
- identificazione dello stato di vittima (riconoscimento della protezione internazionale e dell'accertamento della sussistenza dei requisiti per l'accesso a percorsi di protezione);
- immediata assistenza sanitaria e consulenza legale (accoglienza residenziale o semi-residenziale);
- protezione sociale, assistenza socio-sanitaria, psicologica, legale e consulenze generali (particolare attenzione è rivolta ai minori no accompagnati);
- orientamento, alfabetizzazione, formazione di attività mirate all'inserimento socio-lavorativo.



Fonti: 

venerdì 20 ottobre 2017

Tratta Italia-Nigeria: il rito del juju

Le ragazze nigeriane che sbarcano in Europa sono più che decuplicate negli ultimi tre anni, denuncia l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Vittime della tratta ai fini della prostituzione, queste donne sono intrappolate nella compravendita illecita di esseri umani anche per mezzo della “magia nera”: il rituale del juju.

Viscere di gallo, “pozioni magiche” e tagli sulla pelle sono solo alcuni fra gli elementi che compongono il rituale. Questa pratica viene utilizzata dai trafficanti nigeriani come strumento di controllo per soggiogare psicologicamente le proprie vittime, grazie soprattutto alla forte influenza culturale che il juju esercita su di loro. Si tratta dunque di una cerimonia di espropriazione dell’anima, nella quale non conta tanto la violenza, quanto piuttosto il simbolismo insito nella pratica stessa, appunto, la perdita della proprietà di sé.

Vivian (nome di fantasia) testimonia: "Mi spogliarono, mi fecero indossare un vestito bianco ed inginocchiare sull'acqua. Il mio protettore sgozzò un gallo che aveva portato con sé, ne prese le interiora e le poggiò sulla mia testa, premendo forte perchè il sangue dell'animale colasse sul mio corpo. Lo sciamano iniziò la preghiera: se onorerai il tuo debito la tua vita proseguirà liscia come l'acqua di questo mare, se non paghi, finirai in un vortice. Io promisi, in quel momento non sapevo se ci credevo, ma potevo percepire la forza del juju, sentivo che mi soggiogava".

Non si sa molto sulle origini del juju, una tradizione proveniente dall’Africa occidentale fatta di rituali che comprendono entità sovrannaturali, spiriti e fantasmi, il cui potere può essere convocato ed utilizzato unicamente da uno stregone. Chi vi crede afferma che questa pratica possa essere utilizzata per nobili propositi quali, ad esempio, curare malanni, ma che questa possa essere altresì impiegata con intenzioni malvagie: inducendo pazzia, malattia e persino la morte.

Ad oggi, purtroppo, molte ragazze considerano lo sfruttamento come un inevitabile prezzo da pagare per il raggiungimento di una nuova vita di benessere in Europa. Ancora, molte non denunciano i propri aguzzini, non solo per paura di ritorsioni ai danni della propria famiglia rimasta in Nigeria, bensì proprio per timore delle maledizioni e della presunta follia derivanti dal tradimento del rito juju.